O la sottile differenza tra moderno e contemporaneo. La differenza tra il moderno e il contemporaneo sta propriamente in qualche metro. Moderna è la corda annodata tra la bestia e l’oltreuomo, tesa sopra l’abisso – un periglioso andar dall’altra parte, un periglioso voltarsi indietro, un periglioso star fermi e rabbrividire. Contemporanea, invece, è la corda posta appena al di sopra del suolo. Pochi centimetri. Essa sembra destinata piuttosto a far inciampare, che non ad essere perigliosamente percorsa. Passano appena trentacinque anni, e non più di qualche centinaio di chilometri, tra il posizionamento della prima corda in alto e quello della seconda un po’ più in basso. Eppure è trascorso un mondo intero. Ora, chi vuole approfondisce – e su Zürau non ci torno più. La foto di un Obama scamiciato che telefona (ci dicono) a Putin per dirgli “non si fa così” l’abbiamo vista tutti. E ora in Occidente, in Italia, ci si spartisce nelle due classiche fazioni: i ‘Barack, diamo una lezione a Vladimir’ contro i ‘Vladimir, da’ una lezione ai fascisti ucraini’. E tifando si smette di pensare. Né l’opinione pubblica nostrana di sinistra è immune dallo schierarsi d’istinto: perlopiù i progressisti generici stanno con USA e Unione Europea (NATO compresa) contro il Putin ‘miglior amico di Berlusconi’, mentre la galassia comunista e antagonista sta con la Russia contro il teppismo locale e il neoliberismo globale (e anche perché un po’ di eccitazione à la 1956 d’Ungheria smuove qualche fondo). Ma questo fotogramma di curve da stadio contrapposte è esattamente il miglior regalo che la sinistra italiana, europea, possa fare a chi detiene il potere reale nello stato di cose presente. Perché? Perché nello stato di cose presente gli Stati Uniti (e il suo Presidente) esistono a malapena: esistono invece la Coca-Cola, Microsoft, la Monsanto. E non c’è propriamente la Russia (e il suo Presidente): c’è Gazprom. L’Europa (dei popoli) non c’è: ci sono HSBC, Volkswagen, Carrefour, Enel. Non esiste nemmeno la Cina, pensate un po’: Sinopec esiste. E quindi le dinamiche generali e locali seguono in verità la composizione degli interessi reali (e o-sceni: fuori scena) di questi soggetti – non certo delle ideologie, ‘libera autodeterminazione’ o ‘socialismo campanilista’, né tantomeno delle bandiere nazionali o dei campioni individuali. Tuttavia, nella trappola perfetta noi tutti stiamo inciampando. Sinistre europee comprese, per la gioia del Potere. Stiamo dimenticando la lezione della grande Rosa – e di Karl Liebknecht. (Riaprire i sacri testi, prego.) D’altronde siamo nel 2014 – e sarà un caso? Centenario dell’anno in cui è cominciato il vecchio secolo, che non è finito ancora. 2014, 1914. 28 giugno 1914, domenica. Ricordate? A Sarajevo l’arciduca asburgico Francesco Ferdinando d’Este, erede al trono imperiale austroungarico, e sua moglie contessa Sofia Chotek von Chotkowa, vengono uccisi a pistolettate dal diciannovenne tubercolotico ultranazionalista bosniaco Gavrilo Princip. Di lì a un mese esatto l’Austria-Ungheria dichiara guerra alla Serbia: scoppia la Prima Guerra Mondiale. Vi si oppongono solo i socialisti conseguenti, i comunisti, e i pacifisti intellettuali e religiosi. Il resto è storia. E cent’anni dopo da allora, com’è il mondo? E’ un mondo ricco. Perché dal 2000 a oggi la ricchezza planetaria è più che raddoppiata, raggiungendo il nuovo record di 241.000 miliardi di dollari di patrimonio reale complessivo. Solo che il 46% di questo immenso patrimonio lo detiene il solo 1% dei nuclei familiari, di tutte le famiglie umane – papà mamma figlioli, e variazioni sul tema – presenti sulla Terra. E quindi è un mondo strano. Infatti è in fibrillazione. In crisi, nera. Per esempio, in ventidue paesi dell’Unione Europea – in Europa, nel mondo storicamente privilegiato – negli ultimi quattro anni è aumentato del 75% il numero di persone la cui sopravvivenza dipende dalle distribuzioni alimentari filantropiche. Per esempio, nella Germania pilota d’Europa i contratti di lavoro salariato stipulati dal 2008 in avanti, per più della metà sono precari, a breve termine, privi di controprestazioni di sicurezza sociale; in Germania, locomotiva continentale, 1.3 milioni di lavoratori non possono provvedere ai propri bisogni (lavoratori, non disoccupati o pensionati), 5.5 milioni di cittadini sono diventati poveri di recente, e la classe media – tradizionale fattore di stabilità politica e istituzionale – ha perso 1/9 della propria consistenza. Per esempio, nel 2014 in cinque Paesi europei la disoccupazione giovanile supera ampiamente il 50%: in Macedonia, in Bosnia, in Serbia, in Grecia, in Spagna; nell’Italia meridionale ormai lo sfiora, ed è raddoppiata in Croazia, in Cechia, in Polonia, in Estonia, Lettonia e Lituania. “Le conseguenze a lungo termine di questa crisi non si conoscono ancora – dice la Croce Rossa – e ci chiediamo se, come continente, comprendiamo veramente a cosa andiamo incontro.” Per esempio nel 2014 registriamo l’aumento del tasso di suicidi in molti Paesi europei; del 40% in Grecia, e di più del doppio tra le donne greche. Per esempio in Russia i miliardari in dollari sono appena centodieci, però detengono il 35% dell’intera ricchezza nazionale. E la Cina entra nel 2014 abolendo la legge che impone il figlio unico, con un PIL dell’8% e una propensione al consumo di risorse e alla creazione di rifiuti che farà impallidire il ricordo dell’invadenza statunitense sulle dinamiche mondiali, materiali e simboliche. In compenso, l’Africa è povera come sempre: il 30% degli Africani si stipa tutto nel decimo più misero dell’intera popolazione mondiale. Mentre dall’America Latina arrivano segnali di socialismo, che infatti i decisori apicali del capitalismo transnazionale tengono sotto stretta osservazione pronti a tirare le corde dei flussi di risorse e di democrazia, e a strozzarli. [dati e citazione reperibili su Le Nouvel Observateur] Questi sono solo alcuni elementi reali dello stato di cose presente – questi, non la camicia di Obama né i muscoli di Putin né le agenzie da Kiev e da Odessa. Stato di cose, sovrastato dall’impossibilità del sistema di riavviare a guarigione sé stesso senza o snaturarsi per volontà di popolo (diventare – magari! – altra cosa dal neoliberismo che ha dato forma alla storia globale dell’ultimo cinquantennio) o rinfrancarsi col metodo che il sistema applica in casi di crisi insanabile: la guerra tra Stati e tra genti. Ora, questo mio ‘blogghetto’ Zürau prova a parlare alla e della sinistra italiana – la sinistra ‘work in progress’, beninteso, non quella che si definisce tale nel circo politico e mediatico. E credo che questa pagina d’esordio non vada fuori tema, poiché appunto la divisione indotta tra fazioni riguardo alle ragioni e ai torti dei fatti di Ucraina è per me l’ennesima manifestazione di autolesionismo della sinistra suddetta, laddove invece qui proviamo appunto a dire (a dirci) – benché con voce oggettivamente flebilissima – che così non funziona, che così non si va da nessuna parte: che autolesionisti e auto-contrapposti noi – sinistra italiana – non siamo né moderni né contemporanei. Quella corda di cui all’incipit noi così né l’attraversiamo né l’aggiriamo, ma la offriamo agli interessi dominanti perché ce la si annodi al collo. Il fatto saliente, invece – rispetto al quale non dovremmo farci distrarre da nulla –, è che al neoliberismo sta ovunque stretto il welfare, e l’abbiamo scoperto da tanto, e ovunque sta stretto il lavoro coi suoi diritti. E dalle note pubbliche dei più grandi banchieri d’affari sappiamo anche che gli sta stretta ovunque la democrazia, specie quella configurata e presidiata dalle Costituzioni dei Paesi d’Europa che sconfissero il nazifascismo con la Resistenza. Ma ormai – come dinanzi alle grandi crisi degli Anni ’10 e degli Anni ’30 del XX Secolo – al capitalismo sta stretta la pace stessa, tra gli Stati e tra i popoli. Questa è la terribile novità. Su questo vi chiedo di riflettere. Però la guerra è una cosa troppo grande perfino per i grandi decisori da soli: i quali, per scatenarla, hanno bisogno dell’opinione favorevole delle masse. Masse in larga parte rese docili da implacabili armi di distrazione, rese rabbiose da povertà e disoccupazione crescenti, scientemente deprivate degli strumenti idonei alla coscienza di sé, in quanto classi e in quanto Umanità – masse agitate dietro a bandiere posticce come i bambini di Hamelin appresso al pifferaio. L’antidoto a questa orribile china è uno soltanto: una sinistra europea lucida e conseguente – politica, sindacale, civica, culturale, di senso comune – che si arricchisca dei contributi delle sinistre solide di tutti i suoi popoli, quello italiano compreso. Ecco il nesso col mio tema. Concludo, perorando. Compagne e compagni italiani, noi non appoggeremo l’ingerenza del regime di Putin nella fisionomia politica e socioeconomica del popolo ucraino così come non appoggiamo l’ingerenza del sistema capitalista occidentale nella stessa fisionomia. Non smetteremo di indagare e giudicare, nel nostro Paese e dappertutto, i rapporti di forza tra capitale e lavoro e tra ingiustizia e liberazione, solo perché una nuova mossa di Risiko viene squadernata davanti agli occhi nostri e dei lavoratori, dei cittadini di tutta Europa. Non lasciamoci ingoiare nel gioco di ruolo che poteri e sistemi, regimi e cosche – solo apparentemente contrapposti, ma tutti interessati al mantenimento dello stato di cose presente, anche a costo di una guerra globale – nel gioco che tutti sembra stiano allestendo nel pieno della crisi generale.La nostra responsabilità è grande. Quella di capire correttamente e di agire conseguentemente. Ma anche la nostra forza lo è – nostra, di sinistra italiana diffusa, e connessa a quella delle sinistre di tutta Europa ora prossime all’appuntamento elettorale, coese nel sostenere la candidatura di Alexis Tsipras a Presidente della Commissione Europea e nel dare massimo peso nel Parlamento Europeo ai gruppi a sinistra dei Socialisti e Democratici. Noi Europei abbiamo limpido il valore della vita, del retaggio del tempo trascorso, della responsabilità verso quello a venire, delle lotte sociali, della coscienza civile, di costituzioni e leggi, della solidarietà, dell’uguaglianza, dello spirito millenario della polis, dell’umanesimo: che ciò non sia solo ‘museo’! Tanto meno, bottino di guerra. E il momento di dimostrarlo è arrivato. La crisi ci ferirà ancora, il Potere proverà a dividerci, la stanchezza e la rabbia ci mal consiglieranno. Ma abitiamo questo delicatissimo 2014 con la chiarezza e la forza di quattro parole, che la storia di classe e quella dell’Umanità intera ci consegnano in modo esemplare. Misuriamo con esse le idee e le pratiche che circoleranno intorno a noi e quelle che in noi sorgeranno quest’anno. Senza farci fuorviare da niente! Le parole sono: lavoro, giustizia, democrazia, pace. Che diventino senso comune, egemonia, seconda natura! E se ci sarà guerra – a breve o dopo – noi obietteremo. Noi diserteremo. Noi disarmeremo. Ma saremo tantissimi! Socialism is a global peacekeeping. Grazie per la paziente lettura. Dalla seconda uscita – se non mi segano – Zürau sarà meno ‘pistolotto’. Promesso. Però era importante.
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