Cento esatti, oggi, da quando nacque, Enrico Berlinguer, disse tra l’altro: ‘Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non rinunciamo a costruire una “società di liberi e uguali”, non rinunciamo a guidare la lotta degli uomini e delle donne per la produzione delle condizioni della loro vita. Noi siamo comunisti. Lo siamo con originalità e peculiarità, distinguendoci da tutti gli altri partiti comunisti: ma comunisti siamo, comunisti restiamo. Il comunismo è la trasformazione secondo giustizia della società. [Ma] l'esperienza compiuta ci ha portato alla conclusione che la democrazia è oggi non soltanto il terreno sul quale l'avversario di classe è costretto a retrocedere, ma è anche il valore storicamente universale sul quale fondare un'originale società socialista.’ Questo l’ho messo io in corsivo perché è un’altra formulazione del famoso “strappo” (già ai tempi di Brežnev) col quale il PCI prendeva esplicitamente le distanze dal “socialismo reale”, e Berlinguer andava a dirglielo direttamente a Mosca, in pubblico, il 3 novembre 1977 in occasione del 60° anniversario della Rivoluzione bolscevica! E ribadiva il concetto nel 1981 a Tribuna Politica, al pubblico italiano, dichiarando onestamente che la spinta propulsiva di rinnovamento dell’URSS si era esaurita; non a caso l’orizzonte strategico e geopolitico che andò delineando in quegli anni era un originalissimo “eurocomunismo”, di concerto coi partiti spagnolo, francese e britannico. Questa posizione, e altrettanto quella sul “compromesso storico”, gli attirarono non pochi mugugni nel partito e intorno agli orli suoi. E invece, visto il frutto maturo della stagnazione morale brezneviana – cioè l’autocrazia iperliberista, di Putin, certo, resuscitata dopo il pur nobile tentativo di Gorbacev –, anche su questo aveva ragione quell’uomo per bene, quel comunista come si deve, la brava persona che è stato Enrico Berlinguer.
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Il 24 maggio, oggi, del 1915, l'Italia fu gettata in pasto ai cani della guerra. Chi lo decise – chi soprattutto fece in modo che il popolo italiano lo accettasse, lo acclamasse addirittura –, lo decise non certo perché entrassimo a pieno titolo nel Novecento delle emancipazioni di genti, di persone e classi, ma al contrario perché l'Ottocento dello sfruttamento del lavoro potesse non finire mai. E ad occhio e croce, guardando non solo all'Italia ma anche a tutto il resto, tolto un bellissimo trentennio nel secondo dopoguerra – in cui il Primo Mondo si riformò parzialmente in senso democratico, il Terzo si affrancò dal colonialismo diretto, il tutto molto grazie al fatto che esisteva il Secondo Mondo a spaventare il Primo e sostenere il Terzo –, direi che infatti dall'Ottocento non siamo ancora usciti: guerra, epidemie, autoritarismo – con la ciliegina dell'orologio climatico a scadere. Ah, anche oggi c'è un papa dei cattolici (questo si chiama Francesco, quello era un Benedetto) che alza la voce contro 'un sistema economico che uccide e che suicida, incivile'. E sì: anche oggi di comunisti veri, proprio come allora, non ce n'è per nulla abbastanza. Prima di lui, nell’arco di soli quindici anni e soltanto per mano di Cosa nostra (cioè della mafia di sola origine siciliana), erano già stati assassinati Cesare Terranova, Gaetano Costa, Giangiacomo Ciaccio Montalto, Rocco Chinnici (col suo portinaio Stefano Li Sacchi), Alberto Giacomelli, Antonino Saetta (col figlio Stefano), Rosario Livatino e Antonino Scopelliti, tra i suoi colleghi magistrati; Giuseppe Russo, Filadelfio Aparo, Boris Giuliano, Calogero Di Bona, Lenin Mancuso, Giovanni Bellissima, Salvatore Bologna, Domenico Marrara, Emanuele Basile, Vito Ievolella, Alfredo Agosta, Salvatore Raiti, Silvano Franzolin, Luigi Di Barca, Giuseppe Di Lavore, Antonino Burrafato, Carlo Alberto dalla Chiesa (con la moglie Emanuela Setti Carraro), Domenico Russo, Calogero Zucchetto, Giuseppe Bommarito, Mario D'Aleo, Pietro Morici, Salvatore Bartolotta, Mario Trapassi, Beppe Montana, Ninni Cassarà, Roberto Antiochia, Natale Mondo, Antonino Agostino (con sua moglie Ida Castelluccio, incinta), Emanuele Piazza e Giuliano Guazzelli, tra le Forze dell’Ordine di ogni grado e mansione; Michele Reina, Piersanti Mattarella, Pio La Torre (con l’autista Rosario Di Salvo) e Giuseppe Insalaco, tra i politici onesti; Vincenzo Spinelli, Vincenzo Miceli, Giovanni Salamone e Libero Grassi, tra gli imprenditori e i commercianti più esposti nell’anti-racket; Peppino Impastato, Mario Francese, Pippo Fava e Mauro Rostagno, tra i giornalisti/attivisti che avevano denunciato Cosa nostra e le sue collusioni con la politica disonesta; Giorgio Ambrosoli tra i privati cittadini incaricati di un pubblico servizio contro il malaffare tra mafia e politica; Filippo Costa, Barbara Rizzo, coi figlioli Giuseppe e Salvatore Asta, e il bambino Gianluigi Barletta, tra i cittadini del tutto estranei morti come danno collaterale in attentati di mafia. Tutto ciò nonostante, egli lavorò bene e continuò a lavorare sempre meglio, al massimo delle proprie possibilità di magistrato, di cittadino, di essere umano, con un’efficacia straordinaria, deleteria per le organizzazioni criminali, per i livelli di connivenza politica con esse e per i poteri economici che beneficiavano di quell’intreccio anti-democratico. Per questo preciso motivo, il pomeriggio di martedì 23 maggio 1992, trent’anni fa esatti, Giovanni Falcone fu da Cosa nostra assassinato, insieme a Francesca Morvillo, sua moglie e magistrato anch’essa, e a Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, agenti per la sua protezione, tramite la deflagrazione di un ordigno equivalente a mezza tonnellata di tritolo, posto sotto un tratto dell’autostrada siciliana A29, al passaggio delle autovetture di Falcone, Morvillo e della scorta, di ritorno a Palermo dall’aeroporto (all’epoca “Punta Raisi”, ora “Falcone e Borsellino” – sebbene nei primi Anni Duemila il berlusconiano Gianfranco Micciché, all’epoca Presidente dell’Assemblea Regionale siciliana, avesse proposto di cambiargli ancora intitolazione per “Franco Franchi e Ciccio Ingrassia”). Sentenze passate in giudicato, nell’arco di ventisette anni di indagini e dibattimenti, hanno identificato i colpevoli della strage di Capaci, tra mandanti di mafia ed esecutori materiali, in: Totò Riina, Bernardo e Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Raffaele e Domenico Ganci, Calogero e Stefano Ganci, Giovanni Battaglia, Salvatore Biondino, Salvatore Biondo, Filippo e Giuseppe Graviano, Michelangelo e Gioacchino La Barbera, Pietro Rampulla, Bernardo Provenzano, Antonino Troia, Nitto Santapaola, Giuseppe Agrigento, Santino Di Matteo, Salvatore Cancemi, Giovan Battista Ferrante, Antonino Galliano, Mariano Agate, Giuseppe e Salvatore Montalto, Giuseppe Farinella, Salvatore Buscemi, Benedetto Spera, Giuseppe e Salvatore Madonia, Carlo Greco, Antonino Giuffrè, Pietro Aglieri, Giuseppe Barranca, Cristofaro Cannella, Cosimo D'Amato, Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Lorenzo Tinnirello e Matteo Messina Denaro. Oltre quaranta fior di criminali, ci sono voluti, per ammazzare una sola persona per bene, per uccidere la quale hanno dovuto falciarne altre quattro! E quando penso a questo, a questo rapporto oggettivo dei valori tra il giusto e l’ingiusto, riesco perfino a sperare. Le indagini sul coinvolgimento dei più alti livelli politici di quegli anni e dei successivi, e di altri apparati dello Stato come responsabili di eventuali depistaggi e favoreggiamenti, non hanno dato ancora frutto conclusivo. La storiografia si occuperà di esaminare il contesto complessivo in cui l’assassinio di Giovanni Falcone maturò, e giudicare su chi (e come e perché) beneficiò del cammino intrapreso dalla Repubblica Italiana dalla strage di Capaci, da quella di via D’Amelio di poco successiva (su cui tornerò il 19 luglio) e dalle bombe dell’estate 1993, in avanti. Ma qualche idea al riguardo, tutti gli uomini e le donne di buona volontà e retto pensiero in questo Paese, se la sono già fatta. Ma in questi strani tempi in cui se non sei equidistante allora passi per fottuto guerrafondaio, non sarà un po' troppo poco pacifista ricordare e piangere solo i morti di mafia e non anche i morti della mafia? Quanti altri passi dell'involuzione antropologica dovremo compiere per ascoltare pure che, tutto sommato in ottica di classe, i picciotti sono solo gli sfruttati delle banlieue mentre i magistrati sono i garantiti dei centri cittadini? Non è che per caso qualche grande pensatore fuori dagli schemi, ma ben dentro gli schermi, è già arrivato anche a questo? Tre giorni fa, 18 maggio, l’Italia si è fatta promotrice di una road-map per la pace in Ucraina e l’ha depositata presso le idonee istanze dell’ONU perché interpellino gli interessati in merito, con la solennità della terzietà propria dell’ONU. Al pubblico italiano l’ha diffusa in esclusiva Repubblica, ma solo per gli abbonati, e quindi io solo oggi 21 maggio ne vengo a conoscenza nei dettagli. In quattro punti, eccola dal testo giornalistico: 1 Cessate il fuoco La precondizione per poter avviare il piano predisposto dall’Italia è anche la più difficile: arrivare a un cessate il fuoco fra le parti. È un passo impegnativo perché va negoziato mentre sono ancora in corso i combattimenti. Una semplice tregua temporanea non può essere considerata una condizione sufficiente. Questo cessate il fuoco andrebbe accompagnato, secondo il documento presentato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio al segretario Guterres, da alcuni definiti meccanismi di supervisione e da una smilitarizzazione pressoché totale della linea del fronte. Solo in questo modo si può pensare di impostare una discussione su tutti i nodi che dividono le due parti. 2 Neutralità e Unione europea Il secondo punto riguarda un negoziato multilaterale da avviare sul futuro status internazionale dell’Ucraina. Secondo il ministro Di Maio, sarebbe auspicabile una neutralità di Kiev supportata da una sorta di "garanzia" politica internazionale. L’accordo, che potrebbe essere sancito da una conferenza di pace, dovrebbe essere vincolante, oltre ad includere la condizione che lo status neutrale sia compatibile però con l’ingresso del Paese nell’Ue. Un passaggio, questo, ritenuto delicato quanto importante perché aiuterebbe a "gestire" gli impegni e le clausole di questa adesione che, per la sua eccezionalità, potrebbe incontrare altrimenti rallentamenti e intoppi. 3 Autonomia delle zone contese Nel patto dovranno essere risolte soprattutto le controversie sui confini internazionalmente riconosciuti e sui territori contesi, in particolare Crimea e Donbass. Bisognerà porre particolare attenzione al nodo della sovranità, al controllo dei territori, alle disposizioni costituzionali e legislative di queste aree oltre che alle eventuali misure di autogoverno. Inoltre, dovranno essere regolati i diritti linguistici della popolazione e la conservazione del patrimonio storico-culturale. Si potrebbe ipotizzare, quindi, un’autonomia delle aree contese che non contrasti con la sovranità di Kiev su tutto il territorio nazionale. 4 Garanzia sulla sicurezza in Europa Di particolare importanza sarà, infine, la definizione di un nuovo accordo multilaterale sulla pace e la sicurezza in Europa, così da riorganizzare anche i rapporti tra l’intera Unione Europea e la Russia. Oltre alla stabilità strategica, al controllo degli armamenti e alle misure per la prevenzione dei conflitti, sarà necessario concordare alcuni aspetti come il ritiro delle truppe russe dai territori occupati in Ucraina. L’obiettivo finale è quello di tornare ad uno status simile a quello precedente al 24 febbraio 2022, data dell’inizio del conflitto. Successivamente, si dovrà pensare a un progressivo allentamento delle sanzioni contro Mosca. Se ci sia voluto del genio diplomatico per redigere detto piano, io non lo so: a me sembrerebbe puro buon senso. Di sicuro c’è voluto molto tempo per cogitarla ai massimi livelli – molto tempo da che invece agli infimi una road-map pressoché identica era stata scritta e pubblicata da qualcuno che non è un diplomatico né tantomeno un genio: da me, qui su questo blog, il 13 marzo. Eccola, testuale: - cessate il fuoco immediato, e dispiegamento sul territorio di una forza internazionale di interposizione di pace, ma soprattutto di ong disarmate per gli interventi salvavita per esseri umani, animali, manufatti e ambiente; - sospensione temporanea di tutte le sanzioni contro Russia e Bielorussia e loro stakeholder; - un mese secco per organizzare tre referendum sotto stretta egida ONU, in Crimea e nei due territori Donbass, con la domanda semplice semplice: "dove volete federarvi, in Russia o in Ucraina?" - a risultato acquisito e certificato, altri sei mesi per consentire alle minoranze risultanti dal voto di trasferirsi di qua o di là del confine così ufficialmente garantito dall’esito referendario; - solenne dichiarazione ucraina di non adesione alla Nato per un bel po’ di anni (e invece nessuna preclusione al suo eventuale ingresso in Unione Europea); - solenne dichiarazione russa di rinuncia per un bel po’ di anni a qualunque altra ingerenza, men che mai militare, in qualsiasi Stato sovrano confinante; - annullamento definitivo delle sanzioni; - ripristino progressivo delle normali relazioni locali e globali. Bene – cioè, male: le incalcolabili sofferenze patite da milioni di persone tra il 13 marzo e il 18 maggio non saranno sanate mai, neppure nel caso fantascientifico che le parti in guerra dessero subito seguito ai punti del piano diplomatico italiano. Di più: un conto sarebbe stato mettere Putin davanti a una road-map in qualche modo rinforzata dalla convergenza delle nazioni del mondo rappresentate all’ONU, solo diciotto giorni dopo l’inizio dell’invasione da lui e dai poteri che rappresenta decisa il 24 febbraio – cioè quando l’opinione pubblica russa non era ancora stata esacerbata da promesse reiterate di vittoria sul campo, e anzi c’erano in Russia molti oppositori visibili nelle piazze e sulla Rete –, tutt’altro conto aspettarsi che oggi, che le cose sono ormai andate tanto a male da ogni punto di vista, una exit strategy minima così delineata abbia lo stesso effetto sulle dinamiche interne alla Russia, e anche all’Ucraina stessa! Ma io ripeto, non sono un genio né un diplomatico – sono solo il più banale degli uomini della strada. Quando dico che il lavoro degli storiografi è il mio ansiolitico! ...Càpita, intorno al 1200 aC, che per l'effetto congiunto di fattori naturali come eruzioni, sismi e siccità, socioeconomici come carestie e migrazioni, e politici come rivolte e invasioni, crollano quasi tutte le Potenze del Mediterraneo dell'epoca: Minoici, Micenei, Ittiti, la fascia costiera del Levante, e anche gli Egizi se la passano molto male; anzi: si dice ora che ciò che succede allora è il collasso dell'intera Età del Bronzo! E per i tre/quattro secoli successivi tutto il bacino del Mediterraneo attraverserà l'Età Oscura. Cosa c'è di ansiolitico? Aspettate. Poi càpita anche, intorno al 500 dC, che l'intero assetto istituzionale, economico, militare e culturale che aveva regolato il mondo che va dall'attuale Lisbona a Ninive sul Tigri e dal Vallo di Adriano a Leptis Magna nella Libia odierna, insomma la Roma più che millenaria, si sfarina, evapora, si estingue, in parte implodendo per cause interne, in parte erosa da fuori degli immensi confini, comunque con un crollo demografico e produttivo devastante; e tutta l'Europa centromeridionale scivola nei lunghi secoli dell'Alto Medioevo. Questo toglie l'ansia? Aspettate. E poi naturalmente c'è l'oggi del mondo post-industriale: crisi climatica, inquinamenti vari e longevi, pandemie nuove o rigurgiti di morbi dati per sconfitti, calo delle nascite, disaffezione totale alla responsabilità reciproca e all'impegno pubblico, analfabetismo di ritorno, diseguaglianze feroci, guerra, estinzione della biodiversità... L'età oscura e il medioevo prossimi venturi sono pertanto, da tutti questi indicatori, davvero dietro l'angolo. E questo esame storico sarebbe rilassante?!? Un attimo, sono arrivato... ...Il fatto è che, intorno all'800 aC, la prima voce della civiltà nuova, emersa dalla prima apocalisse, sapete quale fu? Quella immortale di Omero; poi arrivò Talete, e tutta la filosofia appresso, poi Fidia e tutta l'arte, poi Eschilo e tutto il teatro, Pericle e tutta la politica... E dal 1100 dC in poi, la prima voce a parlare dopo la seconda apocalisse? Fu quella quasi sovrumana di Francesco d'Assisi, e poi arrivò Federico II, e poi Giotto, poi Dante, Donatello... Capite? Sì, certo: in entrambi i casi ci vollero secoli, prima della rinascita; e in più, nessun abitante dei mondi di prima, chiudendo gli occhi per sempre, poteva sapere cosa sarebbe successo di straordinario alla fine del tunnel... Ma a un certo punto, anche chi se ne frega!!! Ora capite cos'è che mi rilassa della Storia? MISERIA ✅ DITTATURE ✅ MIGRAZIONI ✅ SICCITÀ ✅ URAGANI ✅ ASFISSIA ✅ GUERRA ✅ FOLLIA ✅ CARESTIA ✅ PESTE ✅ TERREMOTI ✅ VAIOLO?... VAIOLO ✅ (Quanti erano alla fine i flagelli? Vabbè tanto con l'inflazione aumenta tutto!) …VA BENE, ABBIAMO CAPITO: CE NE ANDIAMO. Da un amico, compagno, di testa e di cuore. "Dopo l'intervista a Lavrov di Rete4, era assolutamente prevedibile la capriola di Berlusconi, che ora fa apertamente il filo Putin (cosa che è sempre stato, viste le sue società con Putin). A questo punto, tra i filorussi del M5S tra cui lo stesso Conte, la svolta di Fratoianni, il vile Salvini, la Meloni filo Trump (e quindi...) le posizioni di diversi programmi informativi e di vari intellettuali alla Orsini, mi sembra strano che non inviamo armi alla Russia e non adottiamo sanzioni contro l’Ucraina." Di mio aggiungo solo che allora ecco come si spiega che, nonostante la crisi verticale della militanza, quindi delle sovvenzioni ai partiti, e in generale la crisi economica a 360° che da un decennio buono ha risicato perfino mazzette e tangenti, invece il ceto politico, o politico-mediatico, di destra, centro e pure di sinistra, più gli sparuti reduci di estrema sinistra, tutti sono ancora e sempre lì ai loro posti con tanti soldi da spendere per esistere. Ma quanti soldi deve aver mandato in Italia l'uomo più potente del mondo (secondo Time e Forbes) di questo primo scorcio del XXI Secolo?! E quando mai un donatore tanto generoso non chiede prima o poi qualcosa in cambio!? ...La primavera intanto tarda ad arrivare. Farsa nel dramma: i soloni nostrani della geopolitica antagonista, che ancora non se la sentono di buttare la croce addosso al satrapo del Cremlino, adesso che il suo vassallo fidato di Ankara torna ad abbaiare contro i Curdi proprio eseguendo gli ordini non scritti di Putin per bloccare l'allargamento della Nato, che tipo di equilibrismo logico e morale ci mostreranno pur di tenere il punto dell'equidistantismo? Sono uno spettacolo. Non gli fa schifo stare a braccetto con Salvini, con Orbàn, con Lukashenko (per non citare Assad o Kim Jong-un)… Ma forse la campanella della schiavitù imposta da Erdogan all'eroico popolo di Kobane, alle donne del YPG, al progetto stesso, rivoluzionario, quello sì antagonista nei fatti (non nelle chiacchiere dei nostri garantiti a vita), del confederalismo democratico, potrebbe magari risuonargli nell'animo. Così forse lo ritrovano. Sempre se ne hanno uno. Io uno sparacazzate della caratura di Putin l’ho incrociato (mai direttamente, per sua fortuna) solo in Silvio Berlusconi. E infatti s’intendevano a meraviglia, ricorderete, come cacciaballe, come tombeurs de femme (il “lettone”) e probabilmente anche come tappetti pelati (ebbene sì: un po’ di sano body-shaming). Solo che l’Italia, democrazia imperfettissima e incardinata in sistemi transnazionali (Eurozona, UE, Nato) ben lungi dall’esser virtuosi da ogni punto di vista, in un modo o nell’altro è riuscita a togliersi il mafiopsiconano dal groppone dei posti di potere politico diretto (ci abbiamo messo, dal 1994 al 2011, diciassette anni – in sette dei quali, invero, in Italia governava l’avversario ulivista di turno), e inoltre tutto il danno che poteva fare e che ha fatto Berlusconi è ricaduto perlopiù su noi sudditi italioti e sul nostro territorio; invece la Russia si tiene stretto il suo zar da ventitré anni (blindato già fino a venticinque, e con tutta l’aria di restarci a vita), chi prova a dirgli una sillaba contro fa una finaccia, la forbice socioeconomica in quel Paese si è allargata a dismisura, l’arsenale militare, spionistico, spaziale e nucleare di cui dispone Putin per baloccarsi, Berlusconi non se l’è sognato mai neppure in una coltre di olgettine, e tutto il danno che il dittatore al Cremlino ha fatto e sta facendo è talmente ampio e profondo che impatta sulla vita stessa dell’Umanità. Quindi no: i due sparacazzate olimpici non sono proprio la stessa cosa. Vero è che dio li ha fatti e li accoppiati, per un po’. Ora però non sarebbe il caso che accoppasse almeno il più pericoloso? |