L’8 novembre 1923, nel Burgerbraukeller di Monaco (che ora non esiste più, per fortuna, altrimenti sarebbe meta di demoniaci e decerebrati pellegrinaggi), Hitler, protetto da una robusta guarnigione di SA, le Sturm Abteilungen (squadre d’assalto, di Rohm, il braccio armato della prima ora e fino al ‘34, quando furono liquidate dalle ancor più obbedienti e spietate SS, SchutzStaffel, di Himmler, nella Notte dei Lunghi Coltelli), interrompe un comizio di Gustav von Kahr Governatore della Baviera, conservatore; sparando un colpo di pistola sul soffitto, lo costringe ad abbandonare la sala e convoca i presenti per il giorno successivo, sull’esempio di Mussolini e del suo movimento fascista, alla marcia sulla capitale del Land. In migliaia seguono l’appello. Ma la rivoluzione, il Putch di Monaco, finisce dopo pochi chilometri, nel centro della città: mobilitata da Kahr, la polizia regionale ha ricevuto l’ordine di fare fuoco, e spara sulla colonna in marcia. I morti sono venti. Hitler riesce a fuggire in un’ambulanza, che in quanto tale non è fatta oggetto di colpi. In seguito sarà arrestato, processato e condannato ad appena pochi mesi di carcere, durante i quali scriverà il suo orrendo ed ebete Mein Kampf e dopo, fuori, riorganizzerà il NationalSozialistenPartei e lo aggancerà ai poteri forti fino ai trionfi elettorali del ‘32 e soprattutto del ‘33, e il resto è Storia. Ma se, invece, la polizia di Kahr avesse mirato e centrato l’ambulanza e avesse fatto fuori (forse anche con l'incolpevole personale sanitario) quel demente, ignorante e mediocre ma sciamanico, violento, sadico e vigliacco, se ci fossero quindi stati non venti ma ventuno morti (o più) a Monaco quel 9 novembre di novantanove anni fa, molto probabilmente il mondo si sarebbe risparmiato, tra il 1939 e il 1945, qualcosa come 65/70 milioni di morti in guerra o per la guerra, di cui 40/45 milioni di vittime civili, disarmate, tra le quali, certo, anche quelle dell’Olocausto e degli altri stermini su base etnica, ideologica e antropologica. Analogamente, se il lombardo Tito Zaniboni – classe 1883, veterano della Grande Guerra, tenente colonnello, tre volte medaglia d’argento al valor militare e, all’epoca dei fatti, deputato del Partito Socialista Unitario fondato da Giacomo Matteotti (che poi, il 10 giugno ’24, veniva rapito e assassinato dai sicari fascisti per diretta responsabilità di Mussolini il quale il 3 gennaio ’25 alla Camera dichiarava tronfio: “Io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi.”) – ebbene se Zaniboni quel 4 novembre del 1925, preparato con cura l’attentato, un colpo di fucile di precisione dalla finestra dell’Albergo Dragoni dirimpetto a Palazzo Chigi dal cui balcone si affacciava il Duce per il discorso dell’anniversario della vittoria del ’18, fosse stato anziché tradito da una spia e arrestato un’ora prima dello sparo, lasciato libero di concludere, ecco quel solo morto in camicia nera sulla facciata di un gran palazzo romano ne avrebbe fatti risparmiare centinaia di migliaia, tra i civili etiopi, libici, greci, albanesi e jugoslavi assassinati dall’esercito fascista, tra gli ebrei italiani ghettizzati, deportati e sterminati in combutta con le SS del manifesto delirio hitleriano, tra i nostri militari mandati a morire in una guerra folle (300.000 in tutto, e decine di migliaia solo nella suicida spedizione contro l’URSS) preparata già da quella in Spagna contro la legittima repubblica, tra gli oppositori politici confinati, incarcerati, fatti sparire, tra i Partigiani uccisi in 50.000 nell’atto di salvare il Paese e la sua stessa dignità dalle belve nazifasciste occupanti, e tra la popolazione inerme, disarmata, prostrata dalla guerra che ne falcidiò in numero non inferiore a 300.000. Analogamente, il 5 dicembre 1989 una folla di berlinesi inferociti assaltò la sede della Stasi, responsabile delle pluridecennali nefandezze che sappiamo, e i funzionari assediati chiesero aiuto all’adiacente struttura del KGB, che pure veniva circondata dalla gente; Mosca, interpellata, negò l’aiuto e anzi l’ufficiale russo superiore si rese irreperibile. Restò il suo sottoposto, l’allora quarantasettenne Vladimir Putin, che uscì nel cortile della sede, si parò dinanzi a quei cittadini desiderosi di giustizia e puntando una pistola disse: “Ho dodici pallottole. Una la lascio per me. Ma compiendo il mio dovere, dovrò sparare.” Ecco: se i berlinesi avessero accettato la sfida e il sangue che sempre necessita, e al prezzo di qualche caduto fossero entrati nella fortezza dello spionaggio sovietico passando sul corpo dello zelante funzionario, la Storia si sarebbe risparmiata le bombe nei condomìni di Mosca del ‘99, l’ecatombe del teatro Dubrovka, la strage infame di Beslan, la Cecenia, Anna Politkovskaya, Litvinenko, il Donbass, la Crimea, la Transnistria, l'annientamento delle opposizioni, la chiusura di ogni spazio di dissenso in oltre vent’anni di regime, questa guerra all’Ucraina coi crimini commessi in ognuno dei posti diversi da cui ci arrivano notizie, immagini e testimonianze, le sue conseguenze già maturate in termini di morte, distruzione, diaspora, destabilizzazione e carestia, e quelle che possono ancora scaturirne sotto il profilo di una nuova guerra mondiale, tendenzialmente termonucleare. La morte violenta di un essere umano – è la morale – non è mai fatto di cui ci si possa rallegrare a cuor leggero, ma senz’altro in determinate circostanze è il male minore per tutti gli altri.
1 Commento
Ho sognato che il Papa, l'Arcivescovo di Canterbury, il Patriarca di Costantinopoli, il Gran Muftì di Gerusalemme, la Guida Suprema degli Sciiti, il Rabbino Capo di Tel Aviv, il Dalai Lama, il massimo Brahmino di Calcutta, il più grande Maestro confuciano e il primo Sacerdote shintoista, insieme agli ultimi dieci Premi Nobel per la Pace, insieme ai responsabili delle dieci più grandi organizzazioni no profit per il bene dell'Umanità, dei Viventi e della Terra, accompagnavano il Segretario Generale dell'ONU nel suo secondo viaggio per la pace, stavolta non a Mosca e Kyiv ma al centro esatto della linea dei combattimenti. Ho sognato che questi trentun esseri umani, uomini e donne, giovani e anziani, di tante lingue diverse, di tante etnie, si mettevano lì, sulla linea del fuoco, uno affianco all'altro, si prendevano per mano, e le alzavano tutti insieme, prima rivolti a un lato delle trincee e poi verso l'altro. Nel sogno a quel punto succedeva qualcosa, che adesso non focalizzo bene, ma come un soffio più forte del vento o un suono di sorrisi, se i sorrisi avessero suono. Poi gli spari tacevano, poi le esplosioni cessavano, poi i soldati se ne tornavano ognuno a casa propria, i cannoni venivano abbandonati, gli aerei invertivano la rotta. Poi la gente usciva dai rifugi, e i sani aiutavano medici e infermieri che intanto erano giunti sulla scena ad arrivare ai feriti intrasportabili. Poi dei bambini si asciugavano le lacrime, inventando un gioco con due gatti e un cane che erano sbucati anche loro chissà da dove. Poi finalmente si poteva mangiare qualche cosa, ci si poteva lavare un poco. Putin, Lavrov e Kirill erano in fuga. La Nato era sciolta. Tutti i simboli fascisti vecchi e nuovi, palesi e camuffati, finivano in un grande falò allegro. I profughi si preparavano a rientrare, a costruire. Grano nuovo era seminato, vecchi acquedotti riparati. Chi aveva fatto del male veniva giudicato. Il mondo riprendeva la sua strada verso un qualche progresso per tutti, che è l'unica guerra che dev'esser combattuta. Qualcuno raccontava già tutta questa storia, anche a quelli che l'avevano vissuta. Perché nessuno mai più rischiasse di dimenticarla. https://www.youtube.com/watch?v=wr3J11fbRXk …putiniani di Occidente nell’atto di festeggiare l’arrivo del loro liberatore nelle nostre città. Astrosamantha è appena arrivata lontano da tutto questo, e ritornerà fra cinque mesi. Due pensieri. Il primo: beata lei! Il secondo: ritornare dove? Il XX Secolo aveva dato a una quantità di umani impensabile solo poco prima, una quantità di benefit impensabili solo poco prima, materiali e non. Ciononostante, anziché goderseli, gli umani hanno allestito, provocato e combattuto le due guerre peggiori di sempre. Il XXI è cominciato alle Twin Towers. Figuriamoci! “Se vi azzardate a interferire con la nostra operazione militare speciale, la nostra reazione sarà fulminea. Useremo armi mai viste prima!” Ieri sera visto per l’ennesima volta uno dei capitoli della saga. E che siano i Sith o l’Impero o il Primo Ordine o Palpatine o Darth Fener o il nipotone o Mussolini o Stalin o Hitler o Pinochet o Pol Pot o Putin, il problema è sempre lo stesso: a un certo punto ci occorre la nostra spada laser. “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.” La città futura, 11 febbraio 1917 “Non è di maggio questa impura aria che il buio giardino straniero fa ancora più buio, o l'abbaglia con cieche schiarite... questo cielo di bave sopra gli attici giallini che in semicerchi immensi fanno velo alle curve del Tevere, ai turchini monti del Lazio... […] È un brusio la vita, e questi persi in essa, la perdono serenamente, se il cuore ne hanno pieno: a godersi eccoli, miseri, la sera: e potente in essi, inermi, per essi, il mito rinasce... Ma io, con il cuore cosciente di chi soltanto nella storia ha vita, potrò mai più con pura passione operare, se so che la nostra storia è finita?” Le ceneri di Gramsci (1954) Pier Paolo Pasolini Ieri si sono contati: quattro gatti, anzi... sorci, no... vermi, anzi... virus, ecco sì: quattro virus, mettendo anche insieme tutte le piazze italiane. Virus che volevano infettare la ricorrenza della Liberazione italiana dal nazifascismo di allora coi simboli della sua versione attuale: la criminalità putiniana su scala geopolitica, infame e infida tanto più quanto più si traveste da lotta antiimperialista e anticapitalista, e come tale confonde e seduce alcune menti deboli e sprovvedute della parte pur giusta della barricata. Ma il contagio è stato circoscritto e respinto, debellato, non certo dalle sciocche bandiere a stelle e strisce o peggio della Nato, esibite da qualche epigono dell'americano a Roma, vecchia macchietta sordiana, bensì da cose come quel coro inaspettato; il coro di bambini e bambine a decine, giunti in bici al Museo della Liberazione di via Tasso a Roma, che nel silenzio della stradina assolata all'ora del pranzo hanno intonato sillaba per sillaba, coi caschetti ancora in testa, Fischia il Vento, Siamo i Ribelli della Montagna e Bella Ciao. Grazie forse proprio ai loro bisnonni il nazifascismo fu sconfitto, e grazie a loro il negazionismo non passerà. A loro il compito di completare la costruzione della democrazia secondo Costituzione; e che possano perdonare alla mia generazione, di mezzo, i nostri tanti e gravi errori. Oggi 25 Aprile, Festa della Liberazione dal nazifascismo grazie alla Lotta di Resistenza vittoriosa, nulla hanno da celebrare coloro i quali vedono in Vladimir Putin un campione del multipolarismo globale, perché se così fosse un suo celebre precursore sarebbe allora anche Hitler, la cui parabola, incalcolabilmente luttuosa, potrebbe leggersi come il tragico tentativo di contrapporre un polo diverso allo strapotere francoangloamericano e ai suoi lunghi artigli capitalisti, militari, coloniali e di narrazione dominante, che già si allungavano sul pianeta dopo la Grande Guerra e nonostante la Grande Depressione – e chissà, forse anche il suo preventivo accordo con Stalin starebbe in questa chiave interpretativa. Non fu così, ovviamente, e chi la pensi invece a quel modo o è un pazzo sfuggito alla diagnosi della scienza medica o è semplicemente un nazifascista odierno. E tali sono anche quelli che ritengono Putin, anziché un criminale ultra-potente, il campione di cui sopra: o nazifascisti, oggettivamente – qualunque sia l’appellativo politico che si auto-attribuiscono –, o di un’ignoranza crassa e superba che sconfina nella psicosi. Poi ci sono i nazifascisti consapevoli, epigoni di quella schiatta assassina che a prezzo di immani sofferenze fu scacciata dalla Storia. A costoro, ma più ancora a quelli di allora dico – anche oggi, oggi soprattutto che è il nostro 25 Aprile: Che non ti sono bastate le Fosse, non ti è bastata Marzabotto, né Acerra, né sant’Anna di Stazzema, non è bastato il 16 ottobre a Roma, non è bastata Fossoli, né la risiera di san Sabba, non sono bastate tutte le atrocità, tutte le angherie, tutte le vigliaccate, tutte le torture, non sono bastati tutti i tradimenti, tutte le retate, tutti i fratelli Cervi, non sono bastati tutti i soldi sottobanco dei padroni, industriali, agrari, banchieri, né quelli che venivano da fuori chissà dove, non sono bastate le fughe e i travestimenti dell’ultima ora perduta, non è bastata la paura indotta per un ventennio nel popolo semplice, non è bastato coartare l’intelligenza e la stessa speranza di almeno due generazioni di italiani e italiane, non è bastato impedirgli l’amore, non è bastata una dittatura, anzi due, anzi molte, ovunque si è insediata la tua peste nei Paesi d’Europa, non è bastata una guerra mondiale, la carneficina più orrenda di sempre tra quelle innescate da eserciti l’un contro l’altro armati; non è bastato tutto questo e non ti è servito a niente, se non a soffrire pure tu come un demonio mentre noi soffrivamo come vittime del tuo inferno finché è durato. Non ti è servito perché tanto siamo riusciti a resisterti, e alla fine ci siamo liberati di te, mostro abortito dalla Storia; ne siamo usciti, da quell’inferno, dove tu da allora e per sempre rimani come nella tua sola dimora mentale e dell’anima. E che tu fossi scientemente convinto oppure soltanto ripetessi a pappagallo “viva il duce” o “sieg heil” o “me ne frego” senza capire né sapere, è lo stesso: deliranti o ignoranti, accomunati siete e sarete sempre tra i liquami di scarico degli incubi della gente per bene. Quello il tuo, vostro retaggio deforme. A noi, per quanto difficili, ma umani, reali, il presente e il futuro; e ciò lo dobbiamo, eternamente, alle Sorelle e ai Fratelli Partigiani, alle Madri e ai Padri Costituenti. Grazie, diciamo loro, grazie per sempre! Grazie a voi tutti e tutte per la Libertà, per la Repubblica, per la Costituzione! Disse un Grande: “Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questo! Dietro ogni articolo della nostra Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta. Quindi quando vi ho detto che questa è una Carta morta: no, non è una Carta morta. Questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i Partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione.” E la mirabile Carta arriverà solo dopo la prima mezzanotte del 1948; la precederà la Repubblica, al mezzogiorno del 1946. E prima ancora la Liberazione, la mattina del 1945, nel mese di aprile, il più bello e pieno di speranze, il giorno 25 – che da allora è il vero e proprio Natale laico per decine di milioni di cittadine e cittadini d’Italia! E allora sì, sia festa per chi la comprende e dunque la merita! Auguri, auguri ancora, a noi tutti, compagne e compagni di oggi, amici, fratelli, cittadini tutti! A tutte e tutti, agli uomini e alle donne di buona volontà e retto pensiero, e azioni conseguenti, insieme anche oggi comunque e dovunque! Buon 25 Aprile 2022, settantasettesimo anniversario della Liberazione!!! Un Putin contrito come i peggiori atei devoti, ma nel suo caso si dovrebbe dire demòni blasfemi, si batte il petto nella veglia della Pasqua ortodossa, davanti ai simboli sacri alla fede dei russi circuìti dal suo degno compare Kirill. In realtà la ricorrenza odierna sono due mesi tondi di carneficina, non duemila scarsi anni da una resurrezione in cui lui e l'altro sono i primi a non credere. Ma si sa che in nome del Bene ipotetico i peggiori mali reali sono stati concretizzati, e che per citare Stendhal "l'unica giustificazione di un dio qualunque è che non ne esiste alcuno". L’assemblea di Sinistra Europea si è poi tenuta, la prima nazionale italiana tra iscritti individuali (come me, dal 2016) a questo meta-soggetto politico continentale che di regola, invece, conta tra i propri membri gli iscritti ai partiti nazionali che vi afferiscono collettivamente (Rifondazione Comunista, Die Linke, Syriza, Partito Comunista Francese, Izquierda Unida, Bloco de Esquerda…). Avevo scritto qui il 14 la mia insoddisfazione per la lettera d’invito all’assise, e a cose fatte dico che se non fosse stato per i due interventi conclusivi, fortunatamente di peso – Bierbaum, presidente tedesco di Sinistra Europea, e Ferrero, vicepresidente, che hanno parlato anche dell’infamia di Putin come tale, del dolore immenso degli ucraini e dei rischi per i popoli di tutto il mondo –, ebbene il quadro sarebbe sconfortante: un raro equilibrismo politichese e geopolitichese (tra l’altro di oratori che, al pari mio, si sono auto-laureati grandi esperti in materia – ma io non vado ad ammannire le folle, o almeno prima studio per bene) pur di non dare torti e ragioni, pur di nominarla nemmeno, la parolaccia “invasione”, né i tabù nomi propri “Russia” e “Putin”! Bah. D’altronde se il primo giorno stesso della guerra, tra le cento altre impressioni che mi salivano nel cuore e che tentavo di mettere su carta per condividerle, ho avuto l’istinto di scrivere il cupio dissolvi di certa estrema sinistra proprio dinanzi a fatti estremi come l’aggressione appena iniziata, non si può dire che io non conosca i miei polli. Conferma ulteriore: l’ambiguità tristissima di una cosa nobilissima come l’ANPI, ma non ci torno sopra oltre quello che ho già appuntato il 13. Aggiungo solo che ora ho deciso: dopodomani, credo per la prima volta da un’infinità di anni, non mi aggiungerò al corteo cittadino per la Liberazione. No: la celebrerò al riparo dai crampi allo stomaco che mi verrebbero certissimamente a vedere e sentire qualcosa di – non solo equidistante tra carnefici e vittime, che già è un abisso, ma – velatamente più o meno a sostegno del “campione del multipolarismo mondiale” quale, secondo alcuni sfacciati sedicenti comunisti, sarebbe da sempre il criminale neofascista globale che abita al Cremlino (e usurpa così le spoglie di Lenin esposte da quasi un secolo là sotto). Ultima, in ordine di tempo, secchiata d’acqua gelida sulla faccia: il manifestino della Marcia della Pace Perugia-Assisi di domani, domenica 24. L’avrete visto, su stampa, TV e web: dalla vignetta sembra quasi che da due mesi a questa parte ci sia della gente (ucraini?) sotto il tiro incrociato di armi anonime (russe? polacche? batave? persiane? aliene?... è tutto così accortamente decontestualizzato!), e il font scelto per la scritta (“fermatevi! la guerra è una follia!”, il massimo dell’astrazione) è incomprensibilmente identico alla grafica del ventennio littorio! …Povera Marcia della Pace. E povero 25 Aprile. Morale: bisogna esser forti dentro. Sì, stando così le cose auguriamoci almeno di trovare negli affetti, tra le persone intime della nostra vita, quelle con cui condividiamo le idee di umanità, dignità, libertà e giustizia – di trovare quel che in questo momento non c'è tutto intorno, neppure dalle parti in cui più ti aspetteresti di ottenerlo, per definizione quasi! E se può aiutarci ad ancorare quelle sante idee alla terra solida, per le nostre commemorazioni allora un luogo, una pietra, la parola scritta che non cambia, una fotografia – ecco, troviamo nelle cose quel che troppe persone, dolorosamente, sembrano aver smarrito. Sono strani giorni, e anche questo era purtroppo prevedibile. Perché – detto e ridetto – sì, c’è l’intersezionalità nell’analisi del nemico di classe (e va di gran moda: razzismo, fascismo, capitalismo, sessismo… riportano a tanti modi di conculcare e sfruttare, e nessuno di questi può esser combattuto efficacemente di per sé solo), ma io da quando le crisi globali si sono scatenate (terrorismo, clima, economia, migrazioni, pandemia e ora guerra) vedo anche una nefanda intersezione nei comportamenti dell’amico, del compagno, del fratello abituale delle lotte pre-crisi. E questo è un altro bel problema, enorme, che toccherà affrontare subito dopo la fine dell’ecatombe in corso. Compagne e compagni miei sinceri, in questi giorni, e il 25 soprattutto, noi però ci sentiremo vicini anche a distanza, come chi sa che in un certo punto del mondo (in tanti punti, spero) c'è sempre un'altra anima, un'altra mente (anzi molte, credo, confido) che spezza e mangia lo stesso pane nello stesso momento, il pane simbolico dell'umanesimo, del socialismo, dell'etica vissuta. Nutriamocene con scrupolo e amore, perché proverbialmente “avremo bisogno di tutta di tutta la nostra intelligenza, tutto il nostro entusiasmo, tutta la nostra forza”. Fahrenheit 251… È una forzatura, lo ammetto: è solo per attirarvi. In realtà la temperatura 251°F non ha niente di rilevante (equivale a 122 gradi Celsius, e a 122°C non càpita niente – come invece càpita a 233°C, temperatura a cui brucia la carta, equivalente a 451 gradi Fahrenheit da cui Fahrenheit 451: il titolo del gran libro di Bradbury e del gran film di Truffaut, nonché denominazione di una libreria di Campo de' Fiori a Roma, aperta sempre fino a tarda sera). Perché allora? Perché io dico 251 a significare invece 251 milioni di anni fa; data alla quale corrisponde l'estinzione di massa più severa tra quelle note alle Scienze della Terra, la terza. La prima fu di 450 milioni di anni fa, la seconda di 375, la quarta 200, la quinta (famosa, e letale per i Dinosauri) è stata 65 milioni di anni fa, e la sesta è in corso – e rischia di essere all'altezza di quella lì, proprio la peggiore, che segnò il trapasso dal periodo geologico Permiano a quello Triassico, ossia dell'era Paleozoica intera in quella successiva Mesozoica. Il mondo di 251 milioni di anni fa e quello presente sono ovviamente due pianeti diversissimi; basti dire che all'epoca, invece dei cinque nostri continenti (sei, contando l'Antartide) più o meno sparpagliati tra oceani e mari, ce n'era uno solo immenso detto Pangea circondato da un solo oceano sterminato, il Panthalassa. E fu in quella distesa d'acqua infinita che si giocò una partita fondamentale per la vita sulla Terra, proprio nel corso di quell'estinzione terribile. I tre gruppi di animali (tecnicamente si dice Tipi) che si contendevano all'epoca il dominio erano i Molluschi, più antichi, gli Artropodi e i più recenti Vertebrati. Ma non ve li immaginate come sono ora polpi, cozze o lumache, insetti, ragni o aragoste, né tantomeno rettili, uccelli o mammiferi: erano creature degne oggi di racconti di fantascienza, ma perfettamente funzionali all'ecosistema allora. In particolare erano tutti parecchio grossi. Se la guerra (tecnicamente si dice 'pressione selettiva') l'avessero vinta quei molluschi giganti, forse la vita sulla terraferma non si sarebbe neppure sviluppata e di sicuro l'Homo Sapiens non sarebbe mai nato; se invece vincevano gli artropodi XL, adesso forse avremmo una civiltà delle formiche sulla terra, una delle api in aria e una dei gamberetti dentro l'acqua, ma poco di più. Ma anche vincendo 'noi' a scapito degli altri due Tipi, la biodiversità sul pianeta ne sarebbe uscita parecchio impoverita. E invece? E invece, dalla terza estinzione di massa del pianeta Terra siamo usciti, tutti e tre i grandi gruppi (e tutti gli altri minori), duramente salassati ma presenti, pronti all'evoluzione successiva: all'età dei Dinosauri prima, poi a quella dei Mammiferi, poi dei Primati e poi della Specie Umana – senza peraltro che gli Artropodi ne risentissero (tuttora quella degli Insetti è la classe col maggior numero di specie in assoluto), né che i Molluschi sparissero dalla Vita, tutt'altro: sono solo un po' più piccoli (tranne le eccezioni dei calamari giganti, o colossali addirittura). Attenzione! Non sto affatto descrivendo una teleologia evolutiva: Homo non è per nulla il coronamento del creato! Sto solo dicendo come sono andate le cose finora, con la guarnizione di un paio di scenari controfattuali. Ma il futuro è tutto da giocarsi. E infatti ora parliamo dell'oggi e del domani. Oggi siamo in èra Cenozoica, periodo Neozoico (o Quaternario), epoca Olocene... No: epoca Antropocene, da circa 250 anni, che secondo una buona parte degli studiosi ha preso il posto dell'Olocene precedente che era iniziato circa 12.000 anni fa con la Rivoluzione Agricola dell'Umanità. Ma 250 anni fa che è successo? E’ successa la Rivoluzione Industriale; il che giustifica, per quegli studiosi, l'identificazione di questa fase storica planetaria con un nome suo proprio. Perché è nell'Antropocene che per la prima volta la Specie Umana interviene direttamente sulla fisica e sulla chimica di tutta la Terra, non soltanto sulla sua biologia come dai tempi dei primi agricoltori-allevatori; e il riscaldamento globale e i mutamenti climatici conseguenti ne sono l'evidenza plastica. Già: la sesta estinzione di massa del pianeta è effetto combinato dell'Olocene prima e dell'Antropocene adesso. Ma una partita a tre, fondamentale per la vita sulla Terra, si gioca anche ora come in quell'oceano immenso tra Permiano e Triassico. Però non in un luogo, di acqua, aria o terra che sia, ma nello spaziotempo degli eventi. E a giocarla non sono più tre gruppi di animali, bensì tre 'iperoggetti' (prendo il vocabolo dal bel testo, omonimo, di Timothy Morton – del 2018): l'Ecumène, cioè tutti noi uomini e donne, il Modo (abbreviazione di 'Modo Neocapitalista Globale di Produzione e Scambio di Beni e Significati' – concetto mio, del 2013) e Gaia, il pianeta tutto intero (termine coniato in tal senso da James Lovelock, nel 1979). E’ chiaro che Gaia non può perderla, la partita. Può perderci di biodiversità, come sta già accadendo, purtroppo, e può perderci dal punto di vista estetico (in senso prettamente umano) se le sue albe e i suoi tramonti, i suoi venti e i suoi mari, saranno intaccati sempre più da fumi tossici e/o radioattivi; ma ne esce sempre in piedi, come da infinito tempo a questa parte. Un pianeta finisce davvero, prima ancora di spaccarsi per una collisione siderale o di cadere nella stella intorno alla quale orbita, quando l’ultima cellula vivente che vi abita muore: ma la Terra ospita cellule ininterrottamente da 3.5 miliardi di anni quanto meno, in ogni condizione geofisica possibile (alcune davvero inconcepibili dall’uomo). Se e quando accadrà, se e quando il Pianeta Azzurro diverrà grigio come la morta Luna nostra, allora Gaia avrà perso l’ultima partita; ma neppure l’Antropocene ha questo potere. Ha il potere, questo sì, di tramutarsi ancora; in Megiddocene (termine mio, del 2015, coniato sul vocabolo ‘armageddon’ di tradizione apocalittica): l’epoca in cui l’Umanità non troverà più in alcun luogo della Terra le condizioni minime di sopravvivenza, e si estinguerà come milioni di altre specie prima di Homo sapiens. Quindi, altroché se l’Ecumène – a differenza di Gaia – può perderla, la partita che si disputa nella presente fase storica (e metastorica)! Ma se può perderla, ciò vuol dire simmetricamente che può pure vincerla: ossia, non estinguersi come specie animale. E dunque, ecco il nostro – di uomini e donne di oggi e domani – compito supremo: bisogna far di tutto perché anche a valle di questa transizione planetaria, l’iperoggetto Umanità esista ancora. Per spirito di sopravvivenza collettivo, certo; e pure per il senso estetico di cui sopra, soggettivo beninteso, che non può sopportare che l’animale che è stato Mozart, Michelangelo, Omero, Darwin, Averroè, Imhotep, Gandhi, Rosa Luxemburg, Schweitzer, Sequoyah, Angela Davis, che ha percorso il cammino di liberazione degli oppressi e delle oppresse, che ha incarnato gesti di compassione pura, di onesto coraggio, di intelligenza, di bellezza, di valore, di sapere – ossia, di amore –, sparisca dall’Essere prima di averle tentate tutte! E allora, chi la perde la partita? Chi è rimasto? Il Modo – neocapitalista globale di produzione e scambio di beni e significati –: ecco chi deve uscire scornato dalla strettoia tra gli eoni! Se cioè vogliamo ancora un mondo, per noi tutti e tutte e per la cara Terra così come amiamo ammirarla, dobbiamo cambiare modo di starci sopra. In formuletta: “stesso Modo, altro mondo (senza Homo); cambia modo, questo mondo (pure meglio, se possibile)”. Facile, no? No. Sennò l’avremmo già fatto. “I filosofi hanno finora variamente interpretato il mondo, ma il punto è cambiarlo” – questa la riconoscete tutti, ed è sacrosanta. Io, con infinito rispetto, la parafraso così: “Gli uomini e le donne, tutti e tutte, hanno finora vissuto con il Modo; il punto è cambiarlo. Prima possibile, subito, adesso!” Come? Tenendo a mente questa cristallina verità: il capitalismo non esiste se tu non lo fai. Da subito, da adesso. Non è facile. Ma altrimenti, prima ancora, bruceremo come carta – sì: quella di Truffaut, di Bradbury, di Fahrenheit 451. Un oligarca putiniano, in buen retiro spagnolo, prima ha ammazzato con l'ascia moglie e figlia e poi si è impiccato; un altro, a Mosca, prima ha sparato alla moglie incinta, uccidendola, e dopo si è sparato: morto. A Mosca un palazzo della Difesa, tecnologie avanzate, brucia da ore: sette morti tuffati giù dalle finestre per provare a salvarsi; in un altro punto della Russia, brucia da ore un'industria chimica sempre legata agli armamenti. Putin oggi si mostra a ricevere informazioni dal suo ministro e a dargli ordini, come due grillini della prima ora con la webcam pure al cesso di Montecitorio, e dice: "Non attaccate più l'acciaieria di Mariupol, ma che da lì non esca una mosca!". È seduto male, sembra uno tirato su a forza dal letto di una degenza invalidante. E intanto si muore da cani in Ucraina, come da cinquantasette giorni a questa parte. Fine del bollettino di quest'oggi, dal mondo in cui tutto è sotto gli occhi di tutti ma nulla è comprensibile alla mente e al cuore. |