Io uno sparacazzate della caratura di Putin l’ho incrociato (mai direttamente, per sua fortuna) solo in Silvio Berlusconi. E infatti s’intendevano a meraviglia, ricorderete, come cacciaballe, come tombeurs de femme (il “lettone”) e probabilmente anche come tappetti pelati (ebbene sì: un po’ di sano body-shaming). Solo che l’Italia, democrazia imperfettissima e incardinata in sistemi transnazionali (Eurozona, UE, Nato) ben lungi dall’esser virtuosi da ogni punto di vista, in un modo o nell’altro è riuscita a togliersi il mafiopsiconano dal groppone dei posti di potere politico diretto (ci abbiamo messo, dal 1994 al 2011, diciassette anni – in sette dei quali, invero, in Italia governava l’avversario ulivista di turno), e inoltre tutto il danno che poteva fare e che ha fatto Berlusconi è ricaduto perlopiù su noi sudditi italioti e sul nostro territorio; invece la Russia si tiene stretto il suo zar da ventitré anni (blindato già fino a venticinque, e con tutta l’aria di restarci a vita), chi prova a dirgli una sillaba contro fa una finaccia, la forbice socioeconomica in quel Paese si è allargata a dismisura, l’arsenale militare, spionistico, spaziale e nucleare di cui dispone Putin per baloccarsi, Berlusconi non se l’è sognato mai neppure in una coltre di olgettine, e tutto il danno che il dittatore al Cremlino ha fatto e sta facendo è talmente ampio e profondo che impatta sulla vita stessa dell’Umanità. Quindi no: i due sparacazzate olimpici non sono proprio la stessa cosa. Vero è che dio li ha fatti e li accoppiati, per un po’. Ora però non sarebbe il caso che accoppasse almeno il più pericoloso?
0 Commenti
Ottantuno giorni fa Putin invade l'Ucraina, provocando ad oggi milioni di profughi, decine di migliaia di soldati morti da entrambe le parti, migliaia di morti tra gli ucraini civili, torturati a centinaia, centinaia di bambini morti, migliaia di deportati, sempre tra gli ucraini, distruzioni assolute, vandalismi e razzie su scala di massa. Cosa ottiene? Che l'Occidente si rinserra e rinforza, che vengono stanziati e spesi miliardi di euro e dollari in nuovi armamenti contro la Russia, che la Nato ritrova un ruolo e addirittura si allargherà ad altri due membri che erano stati neutrali per quasi ottant'anni. Come la stragrande maggioranza delle persone mediamente informate e mediamente assennate, anche io credo che questa dell'Occidente sia la diretta reazione a un'azione criminale del più grande criminale del XXI Secolo. Invece per una piccola minoranza di persone, che si reputano estremamente informate ed assennate, è quella di Putin una reazione, alle azioni che l'Occidente e la Nato avrebbero dispiegato negli anni a danno della Russia. Però il ragionamento di queste altre persone si ferma stranamente qui. Non ne deducono infatti che se Putin ha fatto quel che sta facendo per limitare la potenza di USA, Europa e Nato, e se i risultati sono questi, allora non sarà il più grande criminale del XXI Secolo ma il più grande coglione sì. E non lo completano, il ragionamento, perché altrimenti dovrebbero dedurne qualcosa anche su sé stessi, visto che il loro anti-atlantismo avrebbe puntato tutto – stando così le cose come sostengono – su un coglione epocale. Invece, ribadisco, lui è un criminale di statura assoluta, e loro poi non così tanto informati o assennati. E sarò soltanto uno sciocco, ma quaranta artisti – cioè quaranta lingue, cioè quaranta storie, cioè quaranta popoli – che si affrontano sfidandosi a pura forza di note, di strofe, di voci e di rappresentazione, mettendo così plasticamente e inesorabilmente fuori scena la pratica e l’idea stessa della guerra, sono balsamo che in giorni come questi la mia anima benedice! …ma non ruba!
Ritrovato questo, del febbraio 2015. Il capitalismo quando è prospero si concede, e ci concede (a noi masse), la pace e i diritti umani, la democrazia e i diritti civili, il lavoro e i diritti economici. Quando viceversa arranca, allora comincia a negare (nell’ordine): il lavoro e i diritti economici, la democrazia e i diritti civili, la pace e i diritti umani. E cioè – a rigirarla coi sostantivi giusti – il capitalismo, man mano che arranca, per sopravvivere istituisce prima il liberismo, poi la dittatura e infine la guerra. Ora nel liberismo già ci stiamo da un pezzo, ma tuttavia il capitalismo arranca ancora. Quanto manca alla dittatura, cioè alla negazione della democrazia e dei diritti civili? Da un certo punto di vista ci siamo già, dicono gli euroscettici (di destra e di sinistra). Ci siamo, dicono, da quando le rispettive garanzie di autogoverno democratico dei Paesi membri dell’Unione Europea (a maggior ragione quelli dell’Eurozona) sono state prima sfumate con la stipula dei trattati, e poi limitate gravemente con l’interventismo delle istituzioni politico-finanziarie centrali dall’inizio della crisi in avanti. La tesi (comune a destra e sinistra) è che queste istituzioni, visto che la crisi non passa, continueranno ad aumentare il proprio interventismo fino al punto in cui l’autogoverno democratico dei singoli Paesi non esisterà più del tutto, e con esso la libertà dei popoli e i diritti civili degli individui; così saremo tecnicamente in dittatura. La differenza, poi, tra anti-europeisti di destra e di sinistra è che quelli di sinistra vedono nelle istituzioni politico-finanziarie centrali una sovrastruttura giuridica della guerra di classe dall’alto verso il basso combattuta (senza neanche una dichiarazione formale) dal capitale transnazionale contro le masse transnazionali del lavoro, mentre quelli di destra non ci vedono altro che appunto delle istituzioni non-nazionali le quali in sé schiacciano le specificità nazionali (o addirittura regionali) delle rispettive patrie (anche piccoline) cui essi tengono tanto. Vado avanti. E se non bastasse nemmeno questa dittatura continentale sulle nazioni (se la leggete così siete anti-europeisti di destra) o questa dittatura di classe sui popoli (così, lo siete di sinistra), a far cessare la crisi in cui il capitalismo arranca? Allora lo schema prevede che si passi alla negazione anche della pace e dei diritti umani, cioè alla guerra. Alla guerra tra le stesse nazioni e tra gli stessi popoli che costituiscono le varie aree e macro-aree geopolitiche di cui facciamo parte, come in una sequenza di matrioske – cioè l’Eurozona, cioè l’Unione Europea, cioè l’alleanza euroatlantica, cioè il G20, cioè l’OCSE, cioè l’ONU, cioè tutti. Più precisamente, il prossimo passo – non bastasse la dittatura a far uscire il capitalismo dalla crisi – dovrebbe essere una guerra assai più che regionale (di quelle ce ne stanno a iosa da tempo – servono a far girare quattrini, risorse energetiche e tecniche di comando e controllo), ma di vero rango planetario tra due o più statualità a potenza mondiale (USA, Russia, Cina…) che si tirano dietro quelle meno grandi, o piccole, ciascuna nella propria sfera di influenza e/o piramide gerarchica. Dopo ancora, alla fine di questa guerra grande, il capitalismo dovrebbe essersi ripreso. (Oppure saremo entrati in un’altra èra della Storia umana – e nessuna persona seria ha ora la minima idea di che vuol dire.) Torno a oggi. Quindi, a metà maggio 2022, chi pensa che Putin stia lavorando contro il capitalismo globale sta solo vedendo (nella propria testa) un vecchio western. Invece il dittatore russo è esattamente il sicario preferito dal Sistema. La Finlandia sta correndo tra le braccia della Nato, e la Russia ha già detto che questo avvicina la guerra termonucleare globale. Gente, andate in vacanza per il ponte del 2 giugno, non aspettate agosto. Il Kosovo ha chiesto una formalizzazione dell'indipendenza, e la Serbia ha risposto "col cazzo, sui Balcani decidiamo ancora noi!" Fantastico: siamo tutti improvvisamente più giovani di duecento anni, solo che in giro ci sono armi 200.000.000 di volte più letali di quelle d'epoca. Io se trovo un mantello alla Byron faccio un salto all'assedio di Missolungi, per l'aperitivo. il mondo migliore verrà non già perché è giusto bensì se sia forte Nei primi due mesi e mezzo di una guerra che nessuna ragione umana al mondo può giustificare (forse qualche ragione geopolitica, molto probabilmente grosse ragioni economiche, di sicuro una ragione enorme che attiene alla follia criminale di un uomo e alla lobotomizzazione di massa indotta in un popolo – ma noi, almeno qui, siamo umani: non cartine geopolitiche né listini di borsa né psichiatri, solo persone), sono già milioni i profughi, già migliaia i morti civili, e centinaia sono bambini, già centinaia i torturati, già migliaia i deportati, già decine di migliaia i morti in divisa, già città e fabbriche e stazioni e ponti e borghi e allevamenti e pascoli e raccolti completamente distrutti. Ora, se per rincuorarvi e sperare bene per l’immediato futuro vi basta che Putin non abbia ieri annunciato la Terza Guerra Mondiale, allora per affrontare tutti i problemi della mia vita personale io voglio quello che prendete voi per star così di umore! Sul serio. Oggi è la Festa dell’Europa. Ma in Europa c’è la guerra. E in Europa, in una delle sue metropoli, Mosca, oggi si celebra spudoratamente questa guerra vigliacca mascherando la festa col ricordo di una salvifica, eroica invece, vittoria di tanto tempo fa. Venti milioni tra russi, ucraini, bielorussi e moldavi, morti in quella guerra di resistenza e liberazione contro il nazifascismo storico, il cui epigono attuale tiranneggia seduto proprio al bordo della piazza sconfinata al centro di Mosca, si torceranno nelle fosse per questo; ma è un problema anzitutto per i russi di oggi, che il tiranno osannano. Il mio, il nostro problema, è un altro: è un’Europa di pace. Da prima possibile, da subito. E prima, cosa è stato? Cosa fu? Provate a piazzare le lancette in un punto qualsiasi del calendario tra il 1337, data di inizio della Guerra dei Cent’Anni tra corona Britannica e corona Francese, e il 1957, data della firma dei Trattati di Roma embrione dell’Unione Europea: in quei seicentoventi anni non ne troverete anche soltanto venti consecutivi in cui nemmeno un Paese europeo non fosse in guerra con qualche altro Paese europeo, cioè in cui le terre del continente e per estensione le sue acque non fossero in qualche porzione rosse di sangue versato in battaglia, cioè in cui nessun popolo d’Europa non fosse suo malgrado scagliato a combattere contro un altro popolo d’Europa o costretto a subirne l’attacco o l’assedio. Decine e decine di milioni di esseri umani sono crepati così solo in questo continente, nei secoli della piena sovranità delle sue nazioni. Centinaia di milioni le vittime, contando anche i feriti, i mutilati, gli orfani, le vedove, gli sradicati, i profughi, i banditi, i depredati: in nome della potenza di uno Stato europeo a danno di un altro Stato europeo! Vogliamo tornare a questo? Alla mattanza delle masse, alla distruzione delle ricchezze comuni, allo stupro del territorio per generazioni e generazioni? Putin, sicario efficace del Modo Neocapitalista Globale di Produzione e Scambio di Beni e Significati, lo vuole: la guerra, alla lunga, fa girare l’economia globale, e intanto come primo effetto è implacabile principio d’ordine e di tacitazione del dissenso. Ma davvero lo vuole anche qualcuno tra le persone comuni dalle nostre parti? Magari anche qualcuno di sinistra? Magari con la motivazione che “una lezione alla Nato e agli USA qualcuno dovrà pur dargliela”? Con la motivazione che “tutto è meglio di questa Europa dei banchieri, del debito, delle troike, anti-popolare, sfruttatrice della classe”? Riprendiamo a scorrere l’orologio della Storia. Nell’Europa di prima dell’Unione Europea, a quale classe appartenevano le decine di milioni di morti ammazzati in quei secoli? Al popolo, alla povera gente. Chi furono in stragrande maggioranza gli storpiati, gli orfani e le vedove, gli scacciati e i derubati, i sacrificati in nome (apparente) delle bandiere? Furono sempre il proletariato: urbano dall’800 in poi, e contadino prima. Proletari mandati a morire senza saper davvero perché, intontiti dalle fole nazionaliste che mascheravano gli appetiti di conquista delle aristocrazie, di spada o di tasca, di tutte le patrie indifferentemente. L’Europa delle patrie nazionali, dei confini armati, degli inni l'un contro l’altro armati, l’Europa di cui è psicoticamente nostalgico Putin (che non pensa affatto alle Repubbliche Sovietiche nate nel ’17), non ha in quanto tale favorito un solo passo avanti verso l’emancipazione delle classi popolari, verso la sconfitta delle élite sfruttatrici, verso la democratizzazione della vita collettiva. Viceversa, i primi movimenti di una socialdemocrazia vantaggiosa per lavoratori e lavoratrici in Europa si sono dati nel secondo dopoguerra del '900, durante il più lungo periodo di pace mai registrato sul nostro continente. E nello stesso periodo, e per la stessa congiuntura storica, si diede il fatto che l’Europa in sé finalmente mollava un po' la presa sui continenti già schiavizzati, e nascevano e si consolidavano così i movimenti della decolonizzazione in tutto il mondo. Pensate (anche) a questo, quando pensate all’Europa degli ultimi decenni, non solo ai banchieri; all’Europa progetto unitario, di pace, democrazia, giustizia sociale, crescita culturale, rispetto ambientale, che sta nel cammino dell’Umanità al pari dell’invenzione della scrittura, e di poche altre evenienze epocali di sempre. Certo, perfino con l’innocuo alfabeto si può anche vergare una condanna a morte; cionondimeno, per scongiurarla non si deve certo cancellare lo scrivere in sé! Questa sarebbe follia, sarebbe il più grande favore ai nemici di classe, ai padroni del caos. E allora? Dell’Europa cosa fare? Io dico: dobbiamo noi prendere la penna in mano. Riprenderla, meglio. Strappandola prima a chi sta redigendo la mala Storia da qualche decennio: questo è l'unico campo sovrano di lotta, questa la sola bandiera, questa è l’unica trincea da armare, sì, e di corsa. Dobbiamo, oggi più che mai dinanzi alle fosse comuni di Bucha, ai torturati, ai profughi ucraini già a milioni. Lo dobbiamo: per la Letteratura&Teatro in greco, quattrocento anni da Omero a Euripide; e la Filosofia ellenica, trecentocinquant’anni da Talete a Epicuro; la Politica&Diritto a Roma, quattrocentocinquant’anni dalle XII Tavole a Ottaviano; la Letteratura in italiano e suoi dialetti, ottocento anni da Francesco d'Assisi a De André; l'Arte italica, quattrocento anni da Giotto a Bernini; la Pittura fiammingo-olandese, duecentocinquant’anni da Van Eyck a Vermeer; la Letteratura in francese, quattrocentocinquant’anni da Rabelais a Asterix; il Teatro&Spettacolo in inglese, quattrocento anni da Shakespeare ai Radiohead; la Scienza&Tecnica britannica, trecento anni da Newton a Turing; la Filosofia in tedesco, trecento anni da Leibniz a Heidegger; la Musica austrotedesca, duecentocinquant’anni da Bach a Schoenberg; la Politica&Movimenti in Francia, duecentocinquant’anni da Voltaire a Cohn-Bendit passando per la Grande Rivoluzione e la Comune di Parigi. Più Lascaux, Stonehenge e i Nuraghe, Micene e l'Acropoli, i Fori e l'Appia Antica, e Willendorf della Venere. Più Marco Polo. Più le chiese e le cattedrali, dal Bizantino a Gaudì. Più Chaucer, e Cervantes. Più Velàzquez, Goya e Picasso. Più Gutenberg. Più Dürer, Turner, Bacon. Più Tolstoj, Dostoevskij e Cechov. Più Ciajkovskij e Stravinskij. Più Galileo e Einstein, Bruno e Spinoza. Più Eulero e Gauss e Fermat e Gödel, ma Euclide prima di tutti. Più Freud e Jung, e Lacan. Più l'Umanesimo. Più la grande Scienza della Natura. Più gli Impressionisti, e fino a Cézanne e Van Gogh. Più Chopin e Debussy. Più Marconi. Più tutta la Musica delle genti. Più il Movimento Operaio, e il sindacato. Più Spartaco, Müntzer, Masaniello, Pugacëv e Ciceruacchio. Più Lenin e Trockij, Rosa Luxemburg e Gramsci, Sartre e De Beauvoir. Più il Femminismo, e il suffragio universale. Più Karen Blixen e Wisława Szymborska. Più Maria Montessori. Più Coppi e Bartali. Più il calcio del Grande Torino e quello della Grande Ungheria. Più le Olimpiadi del 1960 a Roma. Più le piazze, i giardini, le fontane, i vicoli, i canali, i ponti, le terrazze e i tetti di centomila paesi. Più i castelli, le ville, i palazzi, le torri, le porte. Più le montagne, le gole, le vallate, i fiumi, le cascate, i laghi, i boschi, i colli, i campi, le coste, le spiagge, le scogliere, i fiordi, le isole, il mare, i venti, la luce del sole, le nuvole e le notti stellate. Più la grande Fotografia, e il grande Giornalismo, la grande Editoria. Più la grande Storiografia, la grande Archeologia e la grande Musealizzazione. Più Kafka. Più Praga, e Lisbona, e Venezia, e l'Andalusia, e San Pietroburgo, e l'Islanda, e l'Irlanda. Più Joyce. Più la Scuola di Francoforte, e il Gruppo di Bloomsbury. Più Sabin e Schweitzer. Più Etty Hillesum, e don Milani. Più la Resistenza, le Resistenze, e le Liberazioni. Più le Costituzioni, quelle leggendarie come la Magna Charta e quelle belle come la Costituzione Italiana. Più il servizio sanitario pubblico, la scuola dell'obbligo e pubblica, il sistema pensionistico, l'edilizia popolare. Più Keynes, il Welfare State, la Socialdemocrazia scandinava. Più Emergency, Médecins Sans Frontières, Greenpeace. Più i nuovi diritti, e tutti i Pride. Più la grande Danza, e anche quella piccola. Più Chaplin, il cinema espressionista tedesco, Buñuel, il Neorealismo italiano, Fellini, la Nouvelle Vague, Bergman e Kubrick. Più la minigonna. E più i gatti appunto Europei. Più il vino europeo, il pane europeo, e l’olio, e il formaggio. Più le donne e gli uomini di buona volontà e retto pensiero, che in cento secoli di Europa del lavoro quel vino hanno bevuto, quel pane hanno mangiato, e il formaggio e l’olio hanno meritato. Più il fatto che l'Europa non è un confine, che non può esserlo, che non deve. Che restituisce al mondo, deve farlo, ciò che prendendo ha creato. Che si apre, che accoglie, che si offre. Che solo se è questo divenire cangiante è ancora, e sempre, umanamente Europa. Per definizione. E per responsabilità, per coscienza. Ecco – e scusate la lunga tirata. Oggi è la Festa dell’Europa. Ma in Europa oggi, e da settantacinque giorni, c’è la guerra. E a Mosca, oggi, Putin osa brandire le sue mani sporche di sangue in faccia al mondo, e sporcare così i simboli di una vittoria sacra della Civiltà contro la barbarie di settantasette anni fa. Noi dobbiamo fermare questo scempio, prima possibile, e ricominciare a costruire l’Europa per ciò che di meglio essa può dare al mondo, perché il mondo, anche grazie a un’Europa unita nella pace giusta, si salvi dal peggio che l’Uomo può sempre dare di sé. Oggi, 8 maggio, nel 1945, finiva la Seconda Guerra Mondiale in Europa. Un giorno fondamentale per la Civiltà stessa. Arriviamoci, da qualche giorno prima, passando per i momenti più importanti. Il 25 aprile, mercoledì, l'esercito sovietico e quello statunitense si incontrano lungo il corso dell’Elba, a Torgau, tagliando in due la Germania. Gli americani coronano così la marcia iniziata con lo sbarco in Normandia il 6 giugno 1944 e proseguita con la liberazione di Parigi il 25 agosto, i russi quella cominciata con la vittoria di Stalingrado il 2 febbraio 1943 e giunta alla liberazione di Auschwitz il 27 gennaio 1945. Dal 4 all’11 febbraio si era intanto svolta a Jalta la conferenza tra Roosevelt, Stalin e Churchill sui destini del Mondo a guerra finita. Tra novembre e dicembre 1943 si erano già visti a Teheran, Roosevelt e Churchill portando a Stalin gli esiti dell’incontro precedente, tra loro e De Gaulle a Casablanca in gennaio; e tra luglio e agosto 1945 si terrà a Potsdam l’ultima conferenza fra le tre potenze vincitrici, con Truman al posto del deceduto Roosevelt. Comunque quel 25 aprile, sull’Elba, le prime unità ad abbracciarsi in riva al fiume sono la 69ª divisione di fanteria statunitense e la 58ª divisione sovietica. Venerdì 27 Mussolini viene catturato dai Partigiani italiani mentre sta cercando di scappare in Svizzera travestito da soldato. Sarà fucilato l’indomani, il suo corpo portato a Milano insieme a quelli di altri fascisti giustiziati, come Pavolini e Bombacci, gerarchi criminali, ed esposto alla folla dall’alba di domenica 29 in piazzale Loreto. Lunedì 30, mentre infuria la fase conclusiva della Battaglia di Berlino tra l’Armata Rossa e i resti dell’esercito tedesco schierati in città, Hitler si suicida nel bunker della Cancelleria. Nel suo testamento nomina l'ammiraglio Dönitz nuovo Capo di Stato e Goebbels nuovo Cancelliere. Questi, tuttavia, si suiciderà già il giorno dopo, e Dönitz dovrà dunque riunire in sé entrambe le cariche. Martedì 1° maggio il generale delle SS Wolff e il comandante in capo della 10ª armata tedesca von Vietinghoff ordinano a tutte le forze presenti in Italia di cessare le ostilità e firmano un documento di resa incondizionata. L’Italia, comunque, nei pieni poteri del Comitato di Liberazione Nazionale, si era già fatta libera e vittoriosa sull’occupazione nazifascista, il 25 aprile, grazie alla Resistenza iniziata subito dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Mercoledì 2 terminano gli scontri nella capitale tedesca, sventola la bandiera rossa sul Reichstag. Il generale Weidling consegna senza condizioni Berlino al generale Čujkov. Lo stesso giorno le due armate della Wehrmacht a nord della città si arrendono agli Alleati. Venerdì 4 il feldmaresciallo britannico Montgomery riceve la resa incondizionata di tutti gli armati tedeschi presenti in Germania nord-occidentale, in Olanda e in Danimarca, comprese le forze navali. Sabato 5 Dönitz ordina anche a tutti gli U-Boot di cessare le operazioni offensive e di tornare alle proprie basi. Alle 14.30 si comunica la resa di tutte le forze comprese tra le montagne della Boemia e il fiume Eno. Domenica 6 alle 18, i tedeschi a Breslavia, circondata e assediata da mesi, si arrendono ai sovietici. Un’ora e mezza dopo, il generale Jodl giunge a Reims e offre la resa di tutte le uniformi combattenti contro gli Alleati occidentali. Eisenhower pretende invece la resa incondizionata di tutte le divisioni nemiche, dovunque schierate. Lunedì 7, poco dopo la mezzanotte, Dönitz accetta l'inevitabile e invia un messaggio a Jodl autorizzando la completa e totale resa dell'intera forza tedesca rimasta in campo. Alle 2.41 del giorno 8 Jodl firma nel quartier generale degli Alleati i documenti di resa della Germania, i quali stabiliscono che la cessazione delle attività di guerra deve avvenire alle 23.01 (ora dell’Europa centrale) di quello stesso martedì 8 maggio 1945. Quindi oggi, settantasette anni fa: fine ufficiale della guerra in Europa. Lo stesso giorno il generale Keitel giunge a Berlino e firma un documento simile, alla presenza del generale Georgij Žukov, arrendendosi esplicitamente alle armi sovietiche. La cerimonia si tiene in una villa nel quartiere di Karlhorst e le firme vengono apposte quando a Mosca è già il giorno 9 maggio. Questo è il motivo per cui mentre gli Stati Uniti e la maggior parte delle nazioni europee celebrano la fine della Seconda Guerra Mondiale in Europa l’8 di maggio, l’Unione Sovietica prima e la Russia poi la commemorano il 9. E dopo? Dopo Dönitz continuerà a occupare la carica di Capo di Stato ma il suo governo è in fatto e in diritto dissolto fin dalla resa formale. Il 23 maggio sarà inviato un ufficiale inglese a Flensburg, sede di quel governo fittizio, per riferire l'ordine di Eisenhower di scioglierlo e arrestarne i componenti. Tra il 9 e il 15 maggio, frammentariamente si arrenderanno tutte le frange ancora combattenti per il regime hitleriano, costituite da tedeschi o da nazisti locali, in piccoli teatri di battaglia tra costa francese atlantica, Polonia del nord, Balcani, isole greche. Il 23 maggio Himmler pure, già catturato dagli inglesi, si suiciderà Il 25 maggio si estinguerà anche l’ultima azione bellica residua, a Odžak in Jugoslavia, tra l’esercito partigiano del maresciallo Tito e armati croati filonazisti. Le armi allora taceranno definitivamente in tutta Europa. Il 2 settembre, con la resa incondizionata del Giappone agli Stati Uniti dopo lo sgancio delle bombe atomiche deciso da Truman, su Hiroshima il 6 agosto e Nagasaki il 9, si considererà universalmente conclusa la Seconda Guerra Mondiale su tutto il pianeta. Azzardiamo un bilancio. Iniziata il 1° settembre 1939 col pretestuoso attacco tedesco alla Polonia, questa guerra lascia alla Storia come mostruosa eredità, solo sul fronte delle perdite umane dirette, la cifra totale di settanta milioni di morti tra militari e civili. Venticinque milioni i morti dell’Unione Sovietica, di cui un milione e mezzo gli ebrei; venti milioni i cinesi, dove il massacro iniziava ancor prima della Guerra Mondiale, con l’aggressione giapponese; sette milioni e mezzo i tedeschi; sei milioni i polacchi, di cui due milioni e mezzo gli ebrei; tre milioni i giapponesi; un milione e mezzo gli indiani; un milione gli jugoslavi. Poi la Romania, poi la Francia, poi l’Ungheria, poi l’Italia, poi gli Stati Uniti, poi il Regno Unito, l’Indocina, la Cecoslovacchia, la Corea, l’Indonesia, la Grecia, i Paesi Bassi, l’Etiopia. Poi tutti gli altri Stati e popoli coinvolti. Complessivamente, soltanto nei campi di sterminio, saranno sei milioni gli ebrei assassinati; mezzo milione i rom e altre comunità gitane; un altro quarto di milione uomini e donne solo in quanto disabili nel corpo o nella mente, o tali ritenuti come gli omosessuali. Di mutilati, feriti, orfani, traviati a vita, sterilizzati, delle razzie, distruzioni, macerie, privazioni, delle abiezioni, disperazioni, della perdita di traguardi sociali, di ricchezze artistiche, di eccellenze intellettuali, di presìdi morali e di infrastrutture economiche a causa dei fatti bellici puri o delle politiche razziste e persecutorie allestite per un decennio, non è stato fatto né sarà mai possibile fare un conto esatto. Tra il 20 novembre 1945 e il 1° ottobre 1946, si celebreranno i Processi di Norimberga per i crimini commessi contro l’Umanità dalla cupola a capo della Germania nazista, che aveva innescato la guerra più mortifera di sempre e tutto il resto dell’orrore vissuto in Germania stessa, in Europa e nel Mondo tra la seconda metà degli Anni ’30 e la prima degli Anni ’40. Göring, von Ribbentrop, Bormann, Streicher, Rosenberg, Frank, Keitel, Jodl e altri fra i maggiori responsabili del Reich, ancora in vita e che non erano riusciti a scappare, saranno condannati a morte: dieci impiccagioni all'alba del 16 ottobre 1946. Göring si suiciderà la notte prima dell’esecuzione. Hess, Raeder, condannati all’ergastolo; Speer a venti anni di reclusione; Dönitz a dieci anni. Altri criminali, come Eichmann o Mengele, verranno condannati in contumacia e ricercati per anni e decenni nei luoghi dove avevano trovato protezione. Eichmann sarà preso, condannato e giustiziato in Israele nel 1962; Mengele mai. Höss, il capo dei campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau, sarà processato a Cracovia e impiccato dinanzi all’ex-crematorio nazista nel 1947. Kesserling e Kappler, tra i comandanti di stanza in Italia, responsabili di sofferenze e rastrellamenti, e delle stragi delle Fosse Ardeatine, di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema, in Italia verranno processati e condannati all’ergastolo; Kesserling sarà poi graziato nel 1952, Kappler riuscirà a evadere nel 1977. Krupp, uno degli industriali tedeschi più ricchi, tra gli altri affaristi e fornitori del regime, non fu mai processato; per motivi di salute. Per l’altro fronte di guerra, il Processo di Tokyo, dal maggio 1946 al novembre 1948, determinerà accuse e sentenze per i maggiori responsabili dei crimini di guerra giapponesi. Tra i condannati a morte Tojo, il più famoso tra i comandanti dell'Impero e Primo Ministro. Né Hiroito né alcun membro della famiglia reale saranno mai messi in stato di accusa per le decisioni prese, politiche e militari, prima e in preparazione del conflitto o durante il medesimo. Meditate che questo è stato. …Qui, intanto, nei sondaggi elettorali settimanali vola letteralmente il partito di destra nazionalista Fratelli d’Italia, creatura (visibile) di Giorgia Meloni (e invisibile, vai a sapere di chi). FdI accreditato di più del 22%, crescente, quando alle ultime elezioni (le Europee del ’19) era al 6.4%, e alle penultime Politiche (del 2013) al 2% addirittura! Allora mi son riguardato i voti in Italia (Politiche, solo Camera, ed Europee) dal 2008 in avanti. Dal 2008 perché con la nascita, allora, del PD, si è configurato un quadro bipolare che sostanzialmente è rimasto lo stesso, astrattamente, anche se poi in concreto cambiano i nomi delle forze che occupano i due poli (specie quello di centrodestra). Infatti il dato costante è uno: la china ripida del soggetto politico variamente intestato a Berlusconi, che scende regolarmente dal 37.4% del 2008 all'8% dell’ultimo sondaggio (8.8% alle Europee ’19). E cosa bella, per me sarebbe, se non fosse che tutto questo ben-di-dio di voti che volta le spalle al Caimano trasla semplicemente da quel gaglioffo ad altri gaglioffi, a rotazione, come se cercasse casa, ma ovviamente non sceglie mai la sinistra! Ecco qui: nel '13 il grosso dei voti persi da Berlusconi premia la novità Grillo e un poco il tecnico sulla cresta dell’onda Monti, nel '14 va a Renzi (che pur segretario del PD, è sinistra come la mia scarpa destra!), nel '18 ancora a Grillo (che all’epoca ha incaricato Di Maio come front-man), nel '19 a Salvini, e secondo i sondaggi nel '23 decreterà il successo definitivo di Meloni. Numeri alla mano, è quasi matematico il travaso. Questo, mentre la sinistra dal 2008 a oggi (che siano Bertinotti/Ferrando o Ferrero/Vendola o Vendola/Ingroia o AltraEuropa o Leu/Pap o SI/verdi/Rizzo o Mdp/SI/Verdi) balla sempre e comunque intorno al 5% (se fosse unita, beninteso). E il PD, tolto l'episodio Renzi '14 (cioè quando il PD sia stato almeno una roba di centrosinistra), non schioda dal 25% (se va bene). Che vuol dire, tutto questo? Che l'Italia è ancora berlusconiana, dura e pura, anche se vota altri nomi ma sol purché essi offrano lo stesso pacchetto che garantiva quello; e non solo la malavita patria, che certo orienta parecchio l’andamento elettorale come documentato benissimo da sentenze e inchieste (da Saviano, tra gli altri), ma proprio il Paese, cioè la sua pancia diffusa e incomprimibile, sceglie come ha sempre fatto (dalla DC buonanima in poi) leader e proposte che siano campioni e veicoli di individualismo, arrivismo, sotterfugi para-legali, ignoranza esibita, sciovinismi e razzismi vari. E ciò significa, purtroppo, che noialtri persone per bene, con la Costituzione in saccoccia (ché la sinistra vorrebbe anche solo la sua attuazione, poi al comunismo magari ci pensiamo dopo), stando così le cose da anni, lustri, decenni, numeri alla mano che fanno Storia, ma dove mai vogliamo andare? Infine, a valle di tutto, noto sbigottito che la sordità politica della gente che si sentì rappresentata prima da Berlusconi e poi dai vari campioni della "classe della roba" (verghianamente; roba già in saccoccia ovvero ancora solo desiderata, come per i lumpen e i p'titbourgeois solleticati ora da Giorgia Meloni), non l'ha scalfita nessuno dei fatti epocali che si sono accavallati (si stanno accavallando tuttora): né il "terrorismo", né la Grande Crisi, né la tragedia migrante, né il climate change, né il Covid, né ora una guerra in Europa e la mondiale termonucleare minacciata; ossia tutti quei fatti storici all’apparire dei quali noi (quelli di prima: le persone per bene, di sinistra, con occhi, orecchie, mani e cuore aperti) ogni volta ci diciamo “ora cambia tutto, ora gli italiani capiranno le priorità, ora si aprono spazi di discussione, azione, conflitto, progresso…” …E invece, gattopardescamente (per restare alla letteratura) anche se cambia tutto niente cambia davvero: se la sinistra, per tradizione culturale, finezza umana e anche buona tattica politica, è quella che ragiona in comune sui massimi sistemi, sui problemi del mondo e di ciascuno, sul destino e sui requisiti basici del vivere civile, a tutta questa gente per cui tutto ciò non vale lo sconto di 80 euro sull'IMU, ma che potremo mai dire che minimamente la interessi? |